R. Meynet, L’évangile de Marc. Deuxième édition, revue et augmentée, RBSem 45, Peeters, Leuven 2025 (632 p.)
Per molto tempo si è pensato che i libri della Bibbia, essendo il prodotto di tradizioni orali messe insieme a casaccio da uno scrittore finale poco attento all’ordine, non fossero altro che una sorta di patchwork. Oggi un numero sempre maggiore di esegeti si rende conto che questi testi sono composti e ben composti. Ma devono essere esaminati in base alla specifica tradizione letteraria a cui appartengono. Non appartengono alla retorica classica greco-latina, ma alla retorica semitica, le cui leggi sono oggi molto più conosciute.

Alcuni studiosi si sono interessati alla composizione del Secondo Vangelo, in particolare Jean Radermakers, Benoît Standaert e Bastiaan van Iersel. Il loro lavoro pionieristico meritava di essere ripreso, con una metodologia più rigorosa, ormai consolidata, l’analisi retorica semitica.
La composizione di Marco è una meraviglia di regolarità, sia nei dettagli che nell’architettura complessiva. Due grandi sezioni comprendono sette sequenze che si concentrano su uno dei grandi discorsi di Gesù, il discorso dell’inizio nel capitolo 4 e il discorso del compimento nel capitolo 13. Tra queste due sezioni, una terza, situata fuori dai confini di Israele, è composta dal discorso di Gesù sul discepolo. Al centro di questo discorso centrale – e quindi al centro di tutto il Vangelo – risuona la duplice domanda: “Che gioverebbe a un uomo guadagnare il mondo intero e rovinare la propria vita?” (8,36-37).
Curiosamente, quindi, il Vangelo di Marco non è incentrato direttamente su Gesù, ma sul discepolo. È proprio ciò che ha intuito l’autore tardivo del lungo finale che conclude il libro mostrando Gesù che lascia tutto lo spazio ai suoi discepoli per la proclamazione del Vangelo di Dio.
